Nel sud-est del Paese, non lontano dallì'Italia, un progetto pilota di "rewilding":
la collina viene letteralmente lasciata al proprio destino, senza interventi come la riforestazione o la reintroduzione di specie, ma con il progressivo allentamento della morsa umana sul territorio. "La foresta primaria di domani".
L'eco del canto delle cicale ecgheggia lungo la pineta, mossa dallo stesso vento che diffonde il profumo della lavanda o del timo selvaggio. La traccia dell'uomo è pressoché nulla. Oggetto del racconto non è una remota foresta di un terrritorio oltreoceano ancora a scarsa densità abitativa. Siamo nei pressi di Veronne, che è pur sempre un comune di poco più di quaranta anime, ma situato comunque nella Francia Sud-orientale, tra Valence, Gap e Grenoble, 150 km a sud di Lione e non troppo più distante da Torino e Cuneo, benché la strada dall'Italia non passi per vie facili e rettilinee.
La Riserva naturale del Grand Barry è uno dei più importanti esperimenti di rewilding (re-inselvatichimento) in Europa. Un programma che si distingue dai tanti tentativi di riforestazione, che consistono nel piantare nuovi alberi. Il rewilding, al contrario, punta sull'interruzione dell'intervento umano, tale da permettere alla natura di riprendere il suo corso, senza forzature "al contrario" ma libera finalmente dall'influsso dell'uomo.
Secondo l'Ipbes (Intergovernamental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services), organo dedicato alla biodiversità delle Nazioni Unite, almeno i tre quarti della superficie della terra hanno subito il degrado causato dalle attività dell'uomo. E con l'insaziabile ed esponenziale crescita delle esigenze della specie dominante - stima l'Onu - più di un milione di specie tra animali e piante sono a rischio estinzione, e per molte è soltanto una questione di decenni.
Ispirato a simili progetti in atto negli Usa, quello della Grand Barry è supervisionato dall'Associazione per la protezione degli Animali selvatici e mira a restituire alla foresta un suo spazio vitale. "Sulla Terra, non esistono quasi più aree che non abbiano subito - in un modo o nell'altro - l'influenza dell'uomo", spiega all'agenzia France Presse Zoltan Kun, della Societa zoologica di Francoforte. E la situazione è particolarmente grave in Europa, dove, complici lo spazio relativamente scarso e l'abbondanza e la relativa vicinanza dei grandi centri abitati rendono praticamente impossibile trovare qualche area di natura incontaminata.
Nonostante tutto questo, l'obiettivo del progetto di Veronne e degli altri simili che potranno seguire è quello di creare "ecosistemi che possano funzionare senza l'intervento dell'uomo", aggiunge Kun. In altre parole, nessun nuovo albero piantato, nessuna pulizia della foresta, e nessuna (o quasi) reintroduzione di specie animali o vegetali sparite. Semplicemente, fare un passo indietro e lasciare che la natura faccia il suo corso.
Il processo comincia dal livello più basso della catena alimentare: permettere agli insetti e alle altre creature di piccole dimensioni di prolifrerare induce l'aumento della popolazione di erbivori, e di conseguenza, di quelle dei carnivori e degli uccelli predatori.
"Nella maggior parte dei casi, si tratta semplicemente di permettere a queste specie di diffondersi in modo naturale", spiega Henrique Miguel Pereira, numero uno del settore che si occupa di conservazione della biodiversità presso l'Ipbes. "Si tratta di promuovere la connettività degli ecosistemi: se hai popolazioni di lupi in aree diverse limitrofe, e le connetti, riesci a incrementare il loro numero totale".
Il processo fa affidamento su piccole-grandi modifiche, che vanno dalla rimozione di piccole dighe lungo torrenti e fiumi all'identificazione e alla creazione di passaggi sicuri lungo le grandi arterie di comunicazione umane: la creazione di ponti o sottopassi che permettano agli animali di transitare da una parte all'altra in sicurezza, già sperimentata nei continenti che hanno più ampia disponibilità di spazio.
Situati nel dipartimento del Drôme, i 100 ettari del Grand Barry si snodano lungo una cresta montuosa lunga circa un chilometro. Un'area dove abitano camosci, cervi, tassi, ermellini e varie specie di rettili, senza contare le numerose specie di alberi, piante e fiori. Falco europeo, falcone pellegrino e persino l'aquila reale - un tempo abbondante in Europa, ormai ridotta a poche migliaia di coppie in tutto il continente - sono frequenti abitatori del cielo.
L'area è soggetta a rigida protezione: tra le attività umane vietate ci sono la pesca, la caccia, l'alloggio, l'agricoltura, l'uso di veicoli a motore, nonché i famigerati assembramenti, seppure per motivi che prescindono dal Covid.
"Permettiamo alle persone di camminare nei percorsi tracciati - spiega Clement Roche, coordinatore delle riserve Aspas, indicando i segnali dei percorsi impressi con discrezione sui tronchi degli alberi - gli escursionisti pssono passare senza lasciare traccia". Di fatto, la riserva conta poche decine di ospiti l'anno, merito di una strategia di comunicazione volutamente di basso profilo.
Come detto, la natura è lasciata al suo destino. Quando un albero cade, viene lasciato dov'è, a lasciarsi decomporre. Secondo Madeline Rubin, direttrice di Aspas, il progetto del Grand Barryh ha a che vedere con la "creazione della foresta primaria di domani". Anche in una chiave connessa ai cambiamenti climatici: ricreare una foresta vera potrebbe fornire indizi importanti agli scienziati interessati a capire quali specie potranno adattarsi meglio al progressivo riscaldamento del pianeta.
Il progetto, ovviamente ha anche i suoi oppositori. A cominciare dagli agricoltori e dagli allevatori, che vedono di pessimo occhio la reintroduzione o l'aumento delle popolazioni di predatori quali volpi, lupi e orsi - M49 insegna -. C'è anche qualche amministratore locale che alza barriere di merito. "Se l'uomo non si cura della foresta, questa soffoca - sostiene Alain Jeune, sindaco di uno dei comuni dell'area.
Remi Gandy, presidente della federazione caccia del Drôme è convinto che il re-inselvatichimento costituisca un rischio per "attività economiche e ricreative della tradizione", come la pesca e la caccia. In generale, spiega, non è contrario all'idea in teoria, che, a suo avviso, per funzionare, andrebbe estesa "su migliaia di ettari". Aspas racconta che in un'altra delle sue riserve lungo il Rodano le indicazioni di divieto di cacci aono state rimosse e poggiate per terra a fianco di cartucce di fucile usate.
"In Europa molti sono convinti che la natura abbia bisogno dell'uomo, o della sua gestione - spiega Pereira -. In realtà è un nonsenso perché la biodiversità ci ha preceduto di molto e ci sopravviverà"-
Nonostante i molti parchi nazionali nel suo territorio, la Francia non abbonda in quanto a riserve dove l'influenza umana sia minima o nulla. Secondo Frans Schepers, manager di Rewilding Europe, altre riserve del continente dovrebbero prendere in considerazione il ripristino graduale e naturale dello status di area incontaminata. Anche dal punto di vista strettamente economico. La sua organizzazione ha otto progetti di questo genere tra Portogallo, Romania e Svezia e assiste le comunità locali nella realizzazione dell'opera. Molte di queste regioni soffrono dello spopoalamento delle comunità rurali - racconta - e di una mancanza di attitudine 'imprenditoriale'". Secondo il manager, ogni area interessata al re-inselvatichimento dovrebbe considerare come il processo contribuisca a creare "nuova identità e orgoglio per quella regione".
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